setteparole4 - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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4. DIO MIO, PERCHE' MI HAI ABBANDONATO (MT 27,46)
Signore sulla croce hai fatto esperienza, come noi, che c'è un limite al dolore, che c'è una soglia dì sopportazione oltre la quale è facile perdere il controllo e soprattutto la fiducia. Nella prova spesso ci assale il dubbio e la tentazione che forse Dio non è Padre, ma solo Dio. Ma tu proprio questo ci hai insegnato, che Dio è Padre e sempre Padre. E come Padre ci hai detto di pregarlo e di vederlo. Ma come la mettiamo con la sofferenza atroce e assurda, con il dolore e la morte innocente? In questi casi ci sembra più un Dio "Assoluto" e lontano che un "Padre". Perché assoluto e assurdo ci appare il dolore, assoluta e incomprensibile la tua volontà, assoluto e inspiegabile il tuo silenzio, assolutamente intollerabile la tua passività. Tante volte, in queste circostanze, noi non troviamo più la forza per chiamare Dio: Padre! Se lo facciamo è solo per sfidarlo: «Se sei Padre allora... fatti vivo, intervieni, non startene lontano e soprattutto a guardare. Il suo silenzio e la sua assenza ci sono insopportabili. Non lo senti anche tu che cosa ti dicono quei pochi soldati che per lavoro e necessità sono rimasti sotto la croce- «Se sei Dio, scendi e ti crederemo». Anche noi spesso siamo nella stessa logica e seguiamo lo stesso ragionamento. Ma neanche tu, mio Signore, che hai fatto tanti altri miracoli, hai voluto fare questo e sei sceso dalla croce. Ma tu sai perfettamente cosa ti vogliamo dire, quando ti diciamo che sentire Dio come Padre, a volte, non è né facile né immediato. Anche tu che sempre ti sei rivolto a Dio chiamandolo "Padre" o addirittura "papà", ora hai cambiato espressione. E non ricordiamo male che neanche nell'orto, mentre sudavi sangue per l'angoscia e la paura, eri arrivato a tanto, ma la morte è un'altra cosa. Infatti lo supplicavi: «Padre se è possibile passi da me questo calice». Ora invece, come ogni uomo, ti aggrappi a Dio con la preghiera corale degli sfiduciati, facendo tue le parole dei salmista e di chiunque ha nella vita e nel cuore una misura traboccante di sofferenza che non riesce a gestire. Ma nella preghiera si può dire tutto, perché nella preghiera non vogliamo piegare Dio alla nostra volontà, ma noi innalzarci alla sua. Nella preghiera gli raccontiamo le nostre impressioni, anche se sappiamo che non sono esatte. Sono, però, ciò che sentiamo, ciò che proviamo, ciò che soffriamo e non vorremmo né provare, né soffrire. Quando il nostro dramma, la nostra sofferenza, le nostre angosce e la stessa morte si trasformano in preghiera, allora quello che veramente ci importa è di sentire che Dio ci appartiene e non lo vogliamo perdere a nessun prezzo. Magari con Cristo e come Cristo possiamo gridare: «Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?». Partiamo pure da questo abisso ed a poco a poco la preghiera ci condurrà in alto fino a sentire Dio come Padre e come "Padre nostro". Perché egli è sempre il Padre di una grande famiglia, di tanti figli e fratelli, che egli sempre segue ed ascolta, anche, o soprattutto quando ci sembra tanto lontano.
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