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Il Mondo di Aquila e Priscilla
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Fiumi d'acqua viva...
Nutrire la nostra fede
3° Domenica di Pasqua anno C  
(Atti5,27b-3.40b-41;sal.29;Ap.5,11-14;Gv.21,1-19)

Coloro che hanno sperimentato la bellezza della Risurrezione di Cristo perché hanno avuto il coraggio di rotolare via i pesanti macigni posti sul proprio cuore e sulla strada della propria esistenza, si imbat-tono inevitabilmente nella persecuzione. Il vecchio è sempre duro a morire, spe-cie quando si tratta di certe abitudini e stili di vita ormai incalliti diventati or-mai certezze. Così è accaduto agli Apostoli: nella prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli si legge che quando hanno voluto comunicare la notizia più bella e sbalorditiva della storia, la vera, originale novità, quella della Risurrezione di Cristo, crocifisso e risorto, molti hanno tentato di tappare loro la bocca.(Atti 5,28) Vengono trascinati davanti al tribunale giudaico sotto l'accusa di aver trasgredi-to un ordine che proibiva di parlare di Gesù. Ma la reazione di Pietro e dei suoi compagni sorprende i capi del popolo: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che a-gli uomini"(Atti5,29) Anzi,Pietro ha l'audacia di annunziare il Risorto a quegli stessi giudici che qualche mese prima avevano condannato Gesù: "Di questi fatti siamo testimoni".(Atti 5,32)Anche oggi per noi credenti dire di 'sì' a Cristo e al Vangelo significa dire dei 'no' decisi, anche se sofferti, a quanti in tono di minac-cia o in tono di lusinga "pretendono" che ci accodiamo al comune pensare o che viviamo una fede di compromesso. Per un cristiano rimanere fedele a Cristo e-quivale a rimanere fedele a se stesso. E questo ha sempre un prezzo, nel pubbli-co come nella nostra vita privata, personale. Per gli Apostoli è la "fustigazione", che per molti oggi  può assumere le forme del compatimento, della squalifica, della  derisione, del disprezzo... In quella notte non presero nulla", scrive l'evan-gelista. É l'amara esperienza di Pietro, Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo e altri due discepoli, dopo una faticosa notte di pesca. Un'esperienza non dissimile da quella di tanti uomini e di tante donne, di tanti giorni e di tante notti: a volte può davvero sembrare che credere in Cristo, sia come navigare nel buio, che la fede non ci aiuti gran che e che anche la nostra testimonianza di fede non sia be-ne accolta. La "notte", in questi casi, non è solo una notazione temporale, ma se-gno del buio del dubbio, del nostro smarrimento, delle nostre incertezze, segno dell'assenza del Signore e del conseguente smarrimento. Come gli apostoli, tornati alle loro reti dopo il tragico episodio della passione, anche noi siamo tentati a volte di perdere la speranza. E se la nostra fede nella risurrezione non fosse che un'"illusione religiosa"? Se il Cristo non fosse più presente in certe nostre comunità, così chiuse in un atteggiamento di difesa e così poco inclini all'audacia apostolica? È facile essere tentati di ritornare ai soliti compiti quotidiani, stabili e rassicuranti nella loro banalità. Invece no! Sulla riva di questo mondo c'è qualcuno più attivo e più personale che mai, che ci invita a gettare le reti. Non riusciamo sempre a riconoscerlo fin dal primo incontro, ma c'è: è presente all'interno delle nostre solidarietà umane e professionali, nella nostra vita di credenti insoddisfatti di una fede inerte, nell'impegno di coloro che cercano la verità, amano e perdonano, di coloro che lottano per un mondo migliore e più giusto. Ed è presente nel pane che spezziamo insieme facendo memoria di Lui, per tornare poi alla realtà della vita quotidiana, sostenuti dalla forza nuova dell'agàpe, dell’amore che non ha pari.. E sarà per essa che anche a noi, come a Pietro, verrà il coraggio di gettarci in acqua. E di dire nuovamente:”E’ il Signore!” (Gv.21,7).
Quella scena conviviale, piena di tenerezza, sulla riva del lago di Tiberiade, si presenta ogni domenica anche per noi: tutti erano insieme attorno ad un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane, preparato da Gesù. Nessuno osava domandargli nulla; rimasero senza parole, come quando veniamo superati dall'amore e dalla tenerezza. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli. Per noi è la terza domenica che ci ritroviamo nella liturgia domenicale attorno all'invito che Gesù stesso ci rivolge, come fece allora ai suoi: "Venite a mangiare". Oggi, come ogni domenica, vediamo ripetersi la stessa scena e sentiamo le medesime parole di Gesù: "Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro".(Gv.21,13) E' una scena a suo modo scarna, semplice, eppure colma di domande, soprattutto di una domanda: quella che Gesù, proprio all'alba del giorno, rivolse a Simon Pietro. Non era una domanda sul passato, o sulle delusioni; e neppure sulle non poche paure. Gli chiese solamente: "Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?".(Gv.21,15) Gesù interpellò Pietro sull'amore. Anche a noi, di fronte a quel Pane che mangiamo e a quel Vino che beviamo, viene posta la stessa domanda: Mi ami tu? Mi ami come io ti sto amando e mi sto donando per te? Tu che cosa sei capace di fare per me? Come ti sai spezzare, come ti sai offrire, come sai morire perché altri abbiano la vita? Non ci viene chiesto, per essere discepoli di Cristo, se abbiamo un buon quoziente di intelligenza, o delle competenze professionali, o delle capacità organizzative, ma se siamo capaci di amore personale a Lui, a Gesù. E se in nome suo siamo disposti a prenderci cura delle persone che ci stanno accanto e a nutrirle di cure e di affetto come Lui ci nutre di se stesso. Nutriti, dunque, per nutrire!

Don Roberto Zambolin

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