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Fiumi d'acqua viva...

Il Risorto e la Chiesa
2° Domenica di Pasqua anno A
(At. 2,42-47;sal. 117; 1Pt.1,3-9; Gv.20,19-31)


Nel vangelo di Oggi, vi è una espressione di Gesù tra le più significative che rappresentano l’atto fondativo della Chiesa: "Come il Padre ha mandato me, così anch'io mando voi" (Gv.20,21) Come pure l’altro testo simile e, forse più completo: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate, dunque, e fate mie discepoli tutti i popoli, e battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo,insegnando loro ad osservare tutte le cose che io vi ho comandato.  Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni,  fino alla fine del mondo”(Mt. 28,18-20) Queste sono le scelte più coraggiose della storia, che solo Dio poteva pensare e volere. La Chiesa non è nata dalla pretesa di voler rappresentare Dio, ma dal coraggio di Dio che non ha paura della nostra debolezza e del nostro peccato. Queste parole di Gesù accompagnano tutta la storia della Chiesa e sono il sostegno della sua missione, la giustificazione del suo servizio. Siamo la Chiesa di Pietro e di Giuda e nello stesso tempo di Maria e di Giovanni: siamo la Chiesa nella quale crescono insieme il grano e la zizzania; eppure a questa Chiesa, Gesù ha dato e consegnato il lievito della Risurrezione, il Vangelo della pace, il potere di salvare e di redimere. In questa Chiesa ha fissato il recapito per incontrarlo. Gesù ha ben valutato le nostre debolezze e calcolato il peso drammatico delle nostre miserie. Lo rivela il Vangelo di oggi. Infatti, il primo potere della Chiesa di Gesù, il primo compito ricevuto da Gesù risorto è proprio quello di perdonare. Gesù infatti dice:"Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi li riterrete saranno ritenuti" (Gv.20,22-23).Con queste parole Gesù dimostra di sapere chi siamo noi e nello steso tempo definisce il compito della Chiesa. La Chiesa non ha e non deve avere la pretesa di essere impeccabile. Essa è consapevole dei suoi peccati, ma ha pure la certezza di poterli sempre vincere e perdonare nell'infinita misericordia di Dio. La Chiesa, allora, non è la comunità che non pecca, ma la comunità dove è perdonato il peccato. Chesterton, interrogato sul motivo della sua conversione al cattolicesimo, esclamò: "Mi faccio cattolico per ricevere il pendono dei miei peccati". Avete ben capito che cos'è la Chiesa: il luogo dove si celebra la misericordia di Dio che perdona. Il vero cristiano non si scoraggia per i propri peccati, ma ugualmente non si scandalizza per i peccati degli altri. Egli sa che deve sempre chiedere perdono e che deve perdonare, a sua volta, senza condannare gli altri, né giudicare gli altri. Se vivremo così, saremo un segno di Gesù risorto e il mondo crederà in Gesù Figlio di Dio. Molta gente, come Tommaso, vuol vedere qualcosa, vuole garanzie per credere, esige un segno. La Chiesa non sempre può offrire il segno della santità, ma deve sempre offrire il segno del perdono. Quante volte, più che di persone lontane da Dio, dovremmo parlare di persone allontanate da Dio, per la nostra incapacità di perdonare? L'esperienza di Tommaso deve diventare la nostra: dobbiamo aspirare a vedere la potenza della risurrezione manifestarsi nella nostra vita personale e collettiva; nelle diversità accolte, amate, valorizzate; impegnandoci, con la forza  che viene dal Cristo risorto che ha spalancato il sepolcro rotolando via il pesante masso che lo chiudeva, a guarire le ferite dei nostri fratelli, a risvegliare gli oppressi, a strappare alla morte uomini e donne ancora sprofondati nel peccato. Se la fede non è credere all’impossibile, e credere che l’impossibile può diventare possibile e fare di tutto perché ciò si realizzi, allora a che serve credere? Si tratta di un modo di essere cristiani che, anche oggi, sarebbe auspicabile. Per fortuna che questa "razza" di credenti non si è ancora estinta, ma, nel silenzio e nell'anonimato, continua a testimoniare soprattutto là dove la chiesa non è adulata e privilegiata in modo pacchiano. E' il caso del ministro pachistano Bahti, assassinato a motivo della sua fede in Gesù, che ha lasciato un testamento spirituale che ha nulla da invidiare alle testimonianze dei primi martiri cristiani. Egli, non a parole, ha vissuto sulla sua pelle l'amore per Cristo risorto che, come scrive san Pietro nella seconda lettura, è alimentato da una speranza viva, frutto di una fede che non si corrode, non si macchia e non marcisce. Questa semplice frase dovrebbe risuonare nei nostri cuori soprattutto oggi, giorno in cui a san Pietro verrà beatificato, al termine di un autentico sprint, Giovanni Paolo II. Come uomo i suoi limiti furono notevoli; come Papa non tutti gli episodi che avvennero sotto il suo papato furono cristallini; come credente la sua testimonianza fu grande. Aggrappato al suo pastorale sormontato dal Crocifisso testimoniò, al di fuori di ogni discussione, la sua fede tanto da meravigliare e da spiazzare, col suo tragico attaccamento al Cristo, il cinico egoismo individualista dell'uomo moderno. La fede della Chiesa dunque non è la fede dei puri, ma dei peccatori riconciliati, che ogni giorno si sforzano di vivere e di testimoniare sempre meglio l’Amore di Dio.


Don Roberto Zambolin


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