Fiumi d'acqua viva...

IL LINGUAGGIO DELL’AMORE
SOLENNITA DI PENTECOSTE
(Atti 2,1-11; sal. 103; Gal. 5,16-25; Gv. 15,26-27;16,12-15)
“Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”(At 2, 1). Erano passati cinquanta giorni dalla Pasqua e centoventi seguaci di Gesù (i Dodici con il gruppo dei discepoli assieme a Maria e alle altre donne) stavano radunati, come ormai abitualmente facevano, nel cenacolo. Quel giorno di Pentecoste fu decisivo per i discepoli a motivo degli eventi che accaddero sia dentro il cenacolo che fuori. Narrano gli Atti degli Apostoli che, nel pomeriggio, “venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatteva gagliardo”(At.2,2) sulla casa dove si trovavano i discepoli; fu una sorta di terremoto che si udì in tutta Gerusalemme, tanto da richiamare molta gente davanti a quella porta per vedere cosa stesse accadendo. Apparve subito che non si trattava di un normale terremoto. C’era stata una grande scossa, ma non era crollato nulla. All’interno del cenacolo, in un clima di intensa preghiera e di fraternità, uniti non solo dalla paura, ma soprattutto dall’amore per il loro Signore, per il quale avevano dato la vita, i discepoli sperimentarono un vero e proprio terremoto, che pur essendo fondamentalmente interiore, coinvolse visibilmente tutto l’ambiente. Videro delle “lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono sul capo di ciascuno di loro, ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue”.(At.2,3) Era quella la fiamma dell’Amore, che viene dall’alto e che brucia ogni asperità e lontananza; era la forza della Parola che aveva penetrato i loro cuori e li aveva così trasformati da cambiare profondamente la loro vita. Nessun fatto magico, dunque, né incendio o trasformazione chimica. E’ dentro che avviene il terremoto, nel cuore. Non è una casa che crolla, che brucia, ma di più: è una vita che crolla; una vita piena di paure, di timori, di ansie, di certezze puramente umane che viene meno quando Dio ti invade. Nasce una vita nuova. Era finalmente Pasqua per loro! Sfido chiunque a trovare miracolo più grande di questo! E di queste trasformazioni oggi abbiamo tanto bisogno, nella Chiesa e nel mondo. Preti e laici che brucino d’amore per il Signore, che contagino questo fuoco al mondo, a tutti. Chi di noi, non ha fatto esperienza di una passione amorosa che lo investe e lo prende “tutto”? Possiamo ben immaginare che cosa sia capitato in quel gruppo di credenti, nel cenacolo, quando ad invaderli non è una passione umana, di per sé già forte, ma l’Amore di Dio e per Dio. La paura crollò e cedette il passo al coraggio, l’indifferenza lasciò il campo alla compassione, la chiusura fu sciolta dal calore, l’egoismo fu soppiantato dall’amore. Era la prima Pentecoste. La Chiesa iniziava il suo cammino nella storia degli uomini Quella porta tenuta sbarrata per cinquanta giorni “per paura dei giudei” finalmente viene spalancata e i discepoli, non più piegati su se stessi, non più concentrati sulla loro vita, iniziano a parlare alla numerosa folla sopraggiunta. Il lungo e dettagliato elenco di popoli fatto dall’autore degli Atti, sta a significare la presenza del mondo intero davanti a quella porta: sono ebrei venuti per la festa di Pentecoste da tutti i luoghi della diaspora, dall’Asia, dall’Africa, da Roma; assieme ci sono anche dei proseliti, ossia pagani avvicinatisi alla Legge di Mosè. Ebbene, mentre i discepoli di Gesù parlano, tutti costoro intendono nella propria lingua le grandi cose che Dio ha fatto. E’ così: cambiando il cuore cambia la comunicazione, cambia il modo di relazionarsi con gli altri, cambia persino il linguaggio. La Chiesa raggiunge la persona nelle sue capacità di ascolto e di ricezione, nella sua cultura e nei suoi linguaggi. Non dunque l’imposizione di un proprio linguaggio a cui l’altro si deve piegare, ma l’apertura ai linguaggi e alle capacità comunicative dell’altro. Possiamo dire che lo Spirito Santo, nel giorno di Pentecoste, indica il “criterio base” con il quale la Chiesa dovrà sempre svolgere la Missione: quello della “inculturazione”: raggiungere l’altro, là dove egli è. L’inculturazione non nasce tanto dalla necessità di trasmettere qualcosa in maniera comprensibile, non è tanto un fatto funzionale; quanto invece “pro-voca” (chiama per, a favore di) verso un incontro significativo con la persona di Gesù Cristo, a partire dalla accoglienza della persona stessa nella sua realtà di creatura umana, e nella situazione in cui si trova, personale o/e culturale. L’inculturazione è pertanto espressione di grande rispetto, di attenzione, di incondizionata accoglienza della Chiesa verso ogni donna e ogni uomo amati da Dio; ma è anche un grande atto di amore verso Gesù. E’ l’amore per Lui che deve come “plasmare” il linguaggio dei credenti, la catechesi, la vita, soprattutto La “vita spirituale”, ossia la vita secondo lo Spirito della quale ci parla la seconda lettura di oggi, proprio perché trasuda di carità e di dono di sé, parla un linguaggio da tutti comprensibile. Questo è, del resto, l’unico linguaggio nel quale si possono annunciare le grandi opere di Dio.
Don Roberto Zambolin
