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Il Mondo di Aquila e Priscilla
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LA FEDE IN GESU' CRISTO
LA REALTA' STORICA DI GESU'
Storicità dei Vangeli
Sincerità degli evangelisti


Gli evangelisti, e in genere i primi predicatori cristiani, asseriscono di essere testimoni leali della vita di Gesù.  Giovanni, ad esempio, conclude il racconto della passione, dicendo: « Chi ha visto ne dà testimonianza, e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero » (Gv 19,35).
Il nostro problema è ora di sapere se possiamo fidarci di queste loro parole. Furono davvero sinceri, onesti ed equilibrati i « testimoni oculari della grandezza » del Signore? (« Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza ») (2 Pt 1,16).
Per sapere se un testimone è degno di fede, occorre anzitutto conoscerne il carattere e l'integrità morale, vedere se la menzogna fa parte o meno delle sue abitudini e se, in una data circostanza, può aver avuto forti motivi per mentire. Nessuno infatti mente senza un interesse, o contro il suo interesse, a meno che non sia un folle. Gli apostoli e i primi cristiani furono dunque dei galantuomini o degli impostori, delle persone equilibrate o dei folli? Furono galantuomini. Un primo indizio di questo loro carattere lo abbiamo già incontrato parlando dell'autenticità dei Vangeli. Abbiamo visto infatti che Matteo, contro il prudente silenzio degli altri, dice apertamente di essere stato un pubblicano; che Marco, testimone della predicazione di Pietro, ne tace le benemerenze, ma non ne tace gli errori; che Luca non parla mai di se stesso negli Atti, come Giovanni non parla mai di sé nel Vangelo.
Ora, l'atteggiamento di riserbo e di modestia, come l'umile ammissione dei propri errori, è indice sicuro di lealtà e di rettitudine. E i Vangeli sono tutti permeati di tale spirito. È significativo, ad esempio, che nessuno di essi dimentichi il tradimento di Giuda e la fuga dei Dodici nel Getsèmani. In genere, poi, l'immagine che ci danno degli apostoli è quella di uomini piuttosto meschini, che vogliono primeggiare (Mc 9,34 e par.; Le 22,24), chiedono posti di privilegio (Mc 10,35-37 e par.), nutrono reciproci risentimenti (Mc 10,41 e par.), e spesso fraintendono il pensiero del Maestro (Mc 6,52; 7,18; 8,17-18 e par.; 9,32 e par.; ecc.), che più di una volta li rimprovera chiamandoli « uomini di poca fede » (Mt 8,26; 16,8; 17,20). appellativo non risparmia neppure Pietro (Mt 14,31), capo del collegio apostolico e uomo di grande autorità nella Chiesa primitiva. Anzi proprio a lui toccò un giorno di sentirsi dire da Gesù: « Lungi da me, satana! » (Mc 8,33 e par.). Ed è ancora Pietro che, al momento della passione, fa la peggiore figura. Dopo aver detto infatti al Maestro: « Se anche dovessi morire con te non ti rinnegherò » (Mc 14,31 e par.), al momento dell'arresto fugge con tutti gli altri (Mc 14,50 e par.), e poco dopo, nel cortile del sommo sacerdote, lo rinnega ripetutamente (Mc 14,66-72 e par.). Oltre a quella dei Dodici e di Pietro, anche la figura di Gesù è presentata dai Vangeli con grande candore. Tutti e quattro ricordano che scacciò con forza i venditori dal tempio (Mc 11,15-17 e par.), con un gesto che sembra contraddire le sue esortazioni alla mitezza, mentre i sinottici riferiscono lo strano esorcismo da lui compiuto nella regione dei geraseni, quando liberò un ossesso dai demoni facendoli entrare in un branco di porci, che si precipitarono nel lago (Mc 5,1-13 e par.). Marco poi c'informa che, all'inizio della vita pubblica, i parenti di Gesù volevano portarselo a casa perché pensavano che fosse « fuodi sé » (Mc 3,21), mentre Matteo ce lo presenta una volta come timoroso dei suoi avversari, dai quali si salva con la fuga (Mt 12,14-15).
Troviamo inoltre che quello stesso Gesù che gli evangelisti proclamano Figlio di Dio, afferma di non sapere quando verrà il giorno del giudizio (Mc 13,32 e par.), dice talvolta di essere inferiore al Padre (Gv 14,28), nell'orto degli ulivi lo supplica di liberarlo dal « calice » della passione (Mc 14,36 e par.), e dall'alto della croce lo invoca con un grido quasi disperato (Mc 15,34 e par.).
Ce n'è abbastanza per concludere che i Vangeli sono pervasi da uno spirito di sincerità che rende la loro testimonianza pienamente credibile. D'altronde, perché mai avrebbero dovuto mentire? Quale interesse avevano a farlo? La predicazione cristiana infatti incontrò fin dall'inizio una forte opposizione da parte dell'autorità giudaica, e ben presto anche di quella romana. La storia del cristianesimo nascente è tutta una storia di persecuzioni e di sangue. Le prime pagine degli Atti attestano che il sinedrio fece subito pressioni sulla Chiesa perché smettesse di « insegnare nel nome di Gesù » (At 4,18). Ma gli apostoli risposero: « Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato » (At 4,19-20). E alle minacce seguirono ben presto i fatti. L'arresto e la flagellazione degli apostoli (At 5,40), la ladi Stefano (At 7,57-60), il martirio di Giacomo (At 12, 2) e il conseguente arresto di Pietro (At 12,3), sono i punti salienti della crescente opposizione giudaica alla Chiesa. L'attività apostolica di Paolo è segnata da continui contrasti: conflitti, arresti e condanne si susseguono durante tutto il suo ministero. Egli stesso così riassumerà ai cristiani di Corinto il prezzo di fatiche e di sangue pagato per annunciare il Vangelo: « Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte dei falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità » (2 Cor 11,24-27).
   Perché dunque questi uomini avrebbero dovuto mentire, quando il farlo costò loro un così caro prezzo di patimenti e di sangue? Non dobbiamo infatti dimenticare che, secondo la tradizione, tutti gli apostoli e gli evangelisti, ad eccezione di Giovanni, subirono il martirio. Né si tratta di un gruppo di esaltati i quali, vittime di qualche anomalia psichica, cercavano la persecuzione e la morte per mania di grandezza. Non solo infatti li conosciamo alieni da ogni esibizionismo, ma anche prudenti, concreti e di buon senso, desiderosi se possibile di salvare la vita, e disposti a fuggire di fronte al pericolo. Dopo la morte di Stefano, quando a Gerusalemme infuriava la persecuzione, i cristiani fuggirono dalla città disperdendosi nei paesi vicini (At 8,4).
   Quando Pietro fu miracolosamente liberato dal carcere, rassicurò i fratelli riuniti nella casa della madre di Marco, e quindi « uscì e s'incamminò verso un altro luogo » (At 12,17) per far perdere le sue tracce. Lo stesso Paolo, braccato dai giudei di Damasco che lo volevano morto, fuggì calandosi di notte dalle mura della città (At 9,25; 2 Cor 11,33), mentre approfittò della cittadinanza romana per ottenere soddisfazione dai magistrati di Filippi (At 16,37), evitare il flagello a Gerusalemme (At 22,25), e sottrarsi al giudizio fazioso del sinedrio, appellando al tribunale di Cesare (At 25,11).
   Se non sono dei maniaci esaltati e se non hanno interesse a mentire, se sono uomini onesti, disposti a subire persecuzioni e morte pur di non rinnegare ciò che hanno « visto e ascoltato » (At 4,20), possiamo fidarci della loro testimonianza. D'altronde, se avessero voluto inventare qualcosa non ci avrebbero dato i Vangeli. Essi infatti non possono essere farina del loro sacco.


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