CONCLUSIONE
La prima idea che si può trarre da queste pagine è che l'uomo è una creatura religiosa. Non c'è popolo, per quanto primitivo, non c'è civiltà, per quanto remota, che non abbia una religione. La religiosità ci appare dunque come una tendenza naturale dell'uomo, una dimensione essenziale del suo spirito, alla stessa stregua di altre dimensioni, quali l'arte, la filosofia, il diritto, ecc. Assumere nei suoi confronti un atteggiamento di chiusura preconcetta, significa quindi rinunciare a conoscere un aspetto fondamentale dell'animo umano.
Proprio perché è un valore universale e originario, la religione si connette strettamente con tutte le altre espressioni dello spirito, e in particolare con la morale. È la religione infatti che presso tutti i popoli ha dato un fondamento alla morale, ossia a quel patrimonio di norme e di precetti che hanno condotto l'uomo verso forme di comportamento sempre più umane ».
E si tratta di un patrimonio comune. È facile costatare come, pur divergendo nei dettagli, le diverse morali concordino essenzialmente tra loro. Comune infatti è la ricerca della gioia e della pace interiore, fondate sulla testimonianza di una buona coscienza e conseguibili col superamento delle cieche passioni dell'animalità. Comune è la convinzione che il vero bene non si trovi nelle ricchezze materiali, nei piaceri dei sensi, e tanto meno nel peccato. Comune è infine la persuasione che i rapporti tra gli uomini debbano essere regolati secondo giustizia. Da tale convinzione scaturisce il precetto, sempre presente in ogni morale, di amare e rispettare i genitori perché ad essi tutto dobbiamo, e il principio, che è alla base di ogni retto rapporto sociale, di non fare agli altri ciò che non si vuole sia fatto a se stessi.
Se dunque la religione è ispiratrice di quelle norme morali che costituiscono uno dei patrimoni più preziosi dell'umanità, almeno per questo, merita rispetto e stima.
Ma che cos'è, nella sua realtà più profonda, la religione? Da quanto si è detto, essa si presenta come ammirazione, tensione e slancio verso l'Assoluto, sentimenti che si esprimono nella lode, nel ringraziamento, nell'amore, nell'adorazione e nell'abbandono fiducioso a Dio. La stessa preghiera di domanda, quando non è viziata da uno spirito magico, è un atto di onore. Infatti, chiedendo, riconosciamo la nostra dipendenza da Dio e insieme esprimiamo la nostra fiducia in lui. E così facendo, gli rendiamo onore.
Gli uomini che hanno sentito con maggiore intensità il richiamo dell'Assoluto sono stati i mistici, veri e propri innamorati di Dio. Movimenti di tipo mistico si trovano presso ogni religione. Ne fanno fede il sufismo islamico, la setta Jodo buddhista e il movimento induista della Bhakti. Anche nelle religioni di natura abbiamo trovato autentiche espressioni di misticismo.
Quest'ultimo fatto ci invita a riflettere sul concetto di progresso ». È opinione comune infatti che ciò che nella storia viene dopo sia sempre migliore di ciò che è stato prima.
Ma questa opinione è stata confutata da studiosi di chiara fama. Essi hanno potuto provare che il « progresso » della storia non è né necessario né continuo, e che la crescita dell'umanità in un senso comporta spesso la sua decadenza in un altro. Si comprende allora come mai alcune grandi civiltà del passato abbiano prodotto forme di religiosità meno elevate rispetto a quelle di certe società primitive, e perché oggi possa verificarsi un declino della religione e della morale nei Paesi a più alto sviluppo economico e culturale.
Di fatto, sembra che a Dio si arrivi o con la grande semplicità dei primitivi e dei bambini (Mc 10,15), o con la grande profondità dei mistici e dei filosofi , mentre certe posizioni intermedie sono spesso le meno favorevoli. Esse infatti alimentano la presunzione di saper tutto giudicare criticamente, mentre in realtà non sempre offrono la capacità di farlo.
Se è vero che esistono ovunque espressioni di alta religiosità, è anche vero che esse sono limitate per lo più a gruppi ristretti di persone.
Bisogna francamente ammettere che l'umanità nel suo insieme trova non pochi ostacoli nel realizzare correttamente il proprio rapporto con Dio, che pure vivamente ricerca. Le religioni non cristiane, infatti, anche se « non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini », e possono essere strumenti, sia pure imperfetti, di salvezza , professano spesso credenze assolutamente fantastiche, e anche quando hanno intuizioni valide, non sempre sanno svilupparle in maniera adeguata.
Se infatti tutte le religioni intuiscono il divino, il modo col quale se lo rappresentano è spesso molto imperfetto. Mentre l'islam ha mutuato dalla tradizione giudaico-cristiana il chiaro concetto di un Dio unico e personale, le religioni cinesi e indiane hanno approdato per lo più a una concezione panteista della Divinità, mentre il buddhismo originario ha rinunciato addirittura ad affrontare il problema. È proprio nel concepire l'essenza di Dio e il suo rapporto con l'uomo che la nostra mente incontra le maggiori difficoltà. E se questo avviene al livello dei dotti, la situazione è molto peggiore al livello delle masse, che finiscono per lo più col cadere nel politeismo antropomorfo.
Oltre al modo di concepire Dio, anche il modo di atteggiarsi nei suoi confronti, il modo di onorarlo e di pregarlo è spesso viziato da un errato atteggiamento di fondo. All'ammirazione, allo slancio, all'adorazione, si sostituisce sovente la tendenza al possesso e alla cattura del soprannaturale, per piegarlo ai nostri desideri. Nascono così la magia e la superstizione, presenti in ogni tipo di religione, anche se in misura diversa, come forme degenerative della stessa.
Non ne è esente neppure la religione cristiana. Tanto minore è infatti la conoscenza che il popolo ha del Vangelo, tanto maggiore è il pericolo che la sua pratica religiosa divenga magica, e che esprima un atteggiamento di chiusura egoistica invece che di apertura d'amore.
La costatazione dell'universale tendenza dell'uomo all'Assoluto, unita a quella della difficoltà ch'egli incontra nel rappresentarselo correttamente e nel situarsi in un giusto rapporto con lui, mostra come egli si trovi in una situazione di difficoltà al riguardo, e come sarebbe desiderabile per lui un aiuto dall'alto, un'illuminazione divina, per chiarire tante oscurità e superare tante incertezze.
L'esame del fatto religioso ci conduce così alle soglie del cristianesimo. I cristiani infatti credono che Dio si sia manifestato agli uomini per poter essere conosciuto « da tutti, facilmente, con assoluta certezza e senza alcun errore ». Ed è su questa rivelazione divina, iniziatasi con Abramo e culminata in Cristo, che si fonda la loro convinzione che il cristianesimo sia la religione più vera e più santa tra quante ne esistono.