CONFUCIANESIMO
Confucio (551 - 479 a.C.), di poco posteriore a Lao-tse, partecipò allo stesso contesto storico e alla stessa problematica di questi. Durante la sua lunga vita ricoprì alti incarichi nella pubblica amministrazione cinese, che dovette però abbandonare per l'opposizione di quanti mal sopportavano la sua onestà. Già avanti negli anni, si dedicò alla riflessione filosofica e morale, dando vita ad un movimento d'opinione che ottenne gran successo.
Il suo pensiero c’è giunto attraverso i quattro libri sacri del confucianesimo, scritti dopo la sua morte dai suoi discepoli. Essi sono: La Grande Scienza, Il Giusto Mezzo, Il Libro dei Dialoghi e, posteriore di quasi due secoli, Il Libro di Mencio, di colui cioè che ne fu il discepolo più famoso (372-289 a.C.).
Di fronte alla crisi politica e spirituale che travagliava la Cina del suo tempo, Confucio propose il ritorno ai valori tradizionali, fondati su di una concezione quasi sacra della famiglia e dello Stato. Secondo lui, per rinnovare l'impero è necessario partire dal buon governo degli Stati che lo compongono; per giungere al buon governo degli Stati bisogna rinsaldare la vita familiare, e per far questo occorre « applicarsi al perfezionamento di se stessi ». « La Grande Scienza - egli dice - consiste nel coltivare lo spirito, nel riformare il popolo, nel renderci perseveranti nella virtù ».
È alla classe dirigente che si rivolge principalmente Confucio, convinto com'è che se i governanti saranno giusti e onesti, il popolo ne seguirà gli esempi. « La virtù del principe - egli dice - si può paragonare al vento, quella del popolo all'erba: quando il vento spira, l'erba si curva ». Come Lao-tse, Confucio è convinto che i valori morali siano il fattore essenziale di una corretta vita sociale. Lo Stato, a suo parere, potrebbe reggersi anche senza grandi risorse economiche e militari, ma non potrebbe reggersi senza fondarsi sui valori morali. primo fra tutti la fiducia del popolo nei suoi governanti.
Fondamento della riforma della società è per lui la riforma della famiglia. « La pietà filiale è la base della virtù », afferma Confucio all'inizio del Libro Dei Dialoghi ''. Obbedire ai genitori «, non addolorarli e servirli « con amore e rispetto, è il primo dovere di ogni buon confuciano, ma non è il solo. Esso infatti è il momento saliente di un dovere più vasto: quello della benevolenza verso tutti.
Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te stesso», ripete spesso Confucio. Per lui la virtù consiste « nell'amore per gli uomini », illuminato e diretto dalla prudenza, tanto che il succo della sua dottrina sta tutto nel tchot~g e nel chu, cioè « nel perfezionare se stessi e nell'amare gli altri come se stessi ».
Perfezionare se stessi vuoi dire anzitutto « dominare se stessi » ,i propri desideri e le proprie passioni. Chi è schiavo della lussuria, dell'ira, della cupidigia, o di qualche altro appetito sensibile, non potrà mai essere un uomo giusto. Frequente è in Confucio l'esortazione all'esercizio di questa o di quella virtù, la critica a questo o a quel vizio, condotte con grande vivacità e penetrazione psicologica, che rivelano in lui una profonda conoscenza dell'uomo'' e un singolare senso della irti_ sura .
Se volessimo chiederci quale sia il fondamento della morale confuciana, dovremmo rispondere che essa poggia, da una parte, sull'esperienza interiore di Confucio, sulla sua coscienza e, dall'altra, sull'esperienza degli antichi, sulla storia, ch'egli considera come la vera maestra della vita. Anche lui si rifà, come Lao-tse, a una legge superiore, «« la legge del Cielo », e anche lui vede nell'« armonia morale » un aspetto della « legge universale del inondo », intrinseca alla nostra natura.
Ma mentre Lao-tse guardava al Tao come all'unico punto di riferimento, e la sua dottrina era d'ispirazione mistico-religiosa, Confucio guarda soprattutto all'esperienza storica, alla tradizione degli antichi, situandosi su di un piano che potremmo dire più « laico ».
Egli non è infatti un riformatore religioso, ma un riformatore morale; la stia non è essenzialmente una religione, ma un'etica. Il Cielo rimane per lui, come per la religione cinese tradizionale, il principio supremo dell'essere e il centro del culto religioso, ma non è l'oggetto primo della sua attenzione. Egli non tenta neppure di approfondirne il concetto, di chiarirne la natura, né di stabilire in quale rapporto si trovi con l'uomo. La sua azione in campo religioso si limita a rafforzare il tradizionale culto degli antenati, cardine dell'ordine familiare e sociale.
Grande fu l'influenza di Confucio sulla storia cinese e grande fu il successo della sua dottrina, anche per il favore che incontrò presso la corte imperiale. Il confucianesimo infatti riaffermò il preesistente culto dell'imperatore, considerato come Figlio del Cielo e concepito come padre e maestro di ogni cinese, capo politico e spirituale della nazione, unico vero sacerdote in grado di trattare con i Cieli e di compiere i più importanti riti religiosi.
Per questo esso assunse ben presto il carattere di religione ufficiale dello Stato, con uno spirito spiccatamente conservatore, offrendo per secoli la giustificazione teorica all'ordine costituito e al sistema politico imperiale. La sua impronta tipicamente nazionale non gli permise inoltre di varcare i confini della Cina per divenire una religione universale, se pure «religioso » può chiamarsi il movimento fondato da Confucio.
Più che uomo di Dio, infatti, Confucio fu maestro di vita: l'aspetto più importante del suo pensiero è la dottrina morale. L'amore per la pace, l'importanza data all'acquisto della virtù e al distacco dai piaceri terreni, la considerazione per l'esperienza del passato e la fiducia nella ragione come mezzo di perfezionamento personale e sociale, sono senza dubbio grandi intuizioni che colgono la realtà profonda delle cose e meritano ogni considerazione e rispetto.
Testi e documenti
Virtù morale e vita pubblica in Confucio
La Grande Scienza consiste nel coltivare lo spirito, nel riformare il popolo, nel renderci perseveranti nella virtù. ... Gli Antichi, che volevano sviluppare lo spirito dell'Impero, si dedicavano anzitutto a governare saggiamente i loro Stati. Per giungere al buon governo dello Stato, cominciavano a regolare la loro famiglia; per giungere a stabilire l'ordine nella famiglia, cominciavano ad applicarsi al perfezionamento di se stessi; per perfezionarsi, ponevano tutte le cure a rendere retto il loro cuore; per conseguire questa rettitudine del cuore, purificavano le loro intenzioni; per purificare le intenzioni, completavano il loro sapere; per completare il loro sapere, approfondivano la conoscenza degli esseri. Questo studio conferiva loro la scienza perfetta; con questa scienza, l'intenzione si purifica; l'intenzione purificata dà la rettitudine del cuore; il cuore retto rende perfetta la persona; la perfezione di se stesso determina l'ordine della famiglia; la famiglia ben regolata rende prospero lo Stato; gli Stati ben governati danno la pace all'Impero.
Tutti, dunque, dall'imperatore fino al più umile uomo del popolo, abbiano come base il miglioramento di se stessi. Se l'essenziale è sregolato è impossibile che l'accessorio non lo sia altrettanto. E non si è mai verificato che un uomo, che abbia trascurato l'essenziale, abbia dedicato le sue cure all'accessorio.
(Confucio, La Grande Scienza, inizio, in CONFUCIO E MENCIO, I Quattro Libri, Bocca, Milano 1945, p. 81).
Ki-k 'ang-tse interrogò Confucio sul governo. Confucio rispose: Il buon governo sta nella rettitudine; se tu governi conformemente a questa, quale dei tuoi sudditi oserà essere falso?
Ki-k 'ang-tse era molestato dai ladri; ne chiese il rimedio a Confucio che gli rispose: Se tu stesso non fossi avaro, il popolo non ruberebbe, neanche dietro compenso.
Ki-k 'ang-tse interrogò Confucio sul governo, dicendogli: E se, per assicurare l'ordine ai miei Stati, sopprimessi quelli che lo turbano? Confucio rispose: Se governi saggiamente, si rende necessario l'impiego del supplizio? Ama la virtù ed il popolo l'amerà. La virtù del principe si può paragonare al vento, quella del popolo all'erba; quando il vento spira, l'erba si curva.
(Confucio, Dialoghi, c. 12, nn. 17-19, in I Quattro Libri, p. 140).
Tse-kung interpellò Confucio sul buon governo. Confucio rispose: Fa' in modo che i viveri abbondino, che i soldati siano in numero sufficiente, che il popolo abbia fiducia in te. « Ma, insistette Tsekung, quale di queste tre cose si dovrebbe abbandonare, qualora si dovesse assolutamente fare a meno di una? ». Fa' a meno dei soldati. « E se fosse necessario abbandonare una delle altre due? ». Fa' a meno dei viveri. Forse molti morranno, ma non si è mai potuto evitare la morte, mentre, senza fiducia, lo Stato non potrebbe sussistere.
(Ibidem, c. 12, n. 7, p. 139)
La pietà filiale
Mong-u-pe interrogò Confucio sulla pietà filiale. Confucio gli rispose: Consiste nell'agire in modo che i genitori non abbiano mai alcuna afflizione nei riguardi dei figli, se non quella di vederli ammalati.
Tse-ieu interpellò il suo maestro sulla pietà filiale. Confucio rispose: Ai nostri giorni, per pietà filiale, s'intende che si debbano nutrire i propri genitori. Se non si servono i propri parenti con amore e rispetto quale differenza vi è tra il modo con cui si trattano i parenti e quello con cui si trattano gli animali domestici?
Tse-hia interrogò il maestro sulla pietà filiale. Servire i genitori con letizia, ecco l'essenziale, rispose Confucio; poiché soccorrerli nelle difficoltà e dividere con loro il nutrimento non basta per il completo esercizio della pietà filiale.
(Ibidem, c. 2, nn. 6-8, p. 109).
L'amore del prossimo
L'uomo saggio non si sbaglia molto in quanto riguarda la legge morale. (Egli ha per principio) non fate agli altri quello che non vorreste che gli altri facessero a voi.
(Confucio, Il Giusto Mezzo, n. 13, in I Quattro Libri, p. 93).
Tchong-kong interrogò Confucio sulla perfezione. Confucio rispose: Quando appari in pubblico comportati come se fossi in presenza di un nobile visitatore; quando tratti con il popolo, agisci come se offrissi un sacrificio. Quello che non desideri che ti venga fatto, non farlo agli altri. Così non sarai biasimato né nella vita pubblica né in quella privata.
(Cofucio, Dialoghi, c. 12, n. 1, in I Quattro Libri, p. 138).
Tse-kung domandò al maestro se fosse esistito un precetto che si dovesse osservare per tutta la vita. Confucio rispose: La bontà verso il prossimo. Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te stesso.
(Ibidem, c. 15, n. 23, p. 151).
Confucio disse al suo discepolo Tseng-tse: La mia dottrina si può riassumere tutta in un solo punto.
Tseng-tse rispose: È vero. Ritratosi Confucio, gli altri discepoli chiesero a Tseng-tse: Che ha voluto dire il nostro maestro?
Tseng-tse rispose: La saggezza del maestro si può riassumere in ciò: il tchong, perfezionare se stessi, ed il chu, amare gli altri come se stessi.
(Ibidem, c. 4, n. 15, p. 115).
La virtù come armonia
Confucio disse: Tse-lu, hai tu sentito parlare di sei virtù e di sei vizi? « No, maestro ». Ebbene, siediti e te lo spiegherò. Di chi ama la virtù e non ama lo studio il suo vizio è lo smarrimento; di chi ama il sapere e non ama di approfondirlo il suo vizio è la leggerezza; di chi ama la sincerità, ma non secondo la discrezione, il suo vizio è la sfacciataggine; di chi ama la rettitudine, ma non conformemente all'assennatezza, il suo vizio è l'imprudenza; di chi ama il coraggio, ma non secondo la moderazione, il suo vizio è la turbolenza; di chi ama la forza, ma senza discernimento, il suo vizio è la temerità.
(Ibidem, c. 17, n. 8, p. 156).
La legge del Cielo si chiama coscienza. Seguire la coscienza significa compiere il proprio dovere; l'adempimento del dovere costituisce l'educazione. Non ci si può scostare un solo istante dalla via del dovere... Ecco perché il saggio si vigila anche nella solitudine.
Quando non siamo scossi dalla gioia, dalla collera, dalla tristezza, dall'ilarità, noi siamo nel giusto mezzo. Quando queste passioni alitano in noi, senza però tralignare, ci conferiscono l'armonia morale. Il giusto mezzo è la grande radice dell'universo, l'armonia è la legge universale del mondo. Quando il giusto mezzo e l'armonia sono portati alla perfezione, il mondo si mantiene in buon ordine e gli esseri raggiungono il loro pieno sviluppo.
(Cofucio, Il Giusto Mezzo, n. 1, in I Quattro Libri, p. 91).